Capo d'Orlando - 


A cura di Padre Dino

   

Fronti segnati dalle ceneri
01/03/2006 , 16.01.16 av Padre Dino
Signore,
ecco le nostre fronti segnati dalle ceneri,
come gli stipiti delle porte di coloro che stavi per liberare dall’Egitto.

Ecco i nostri cuori segnati dalle ceneri,
quelle delle nostre colpe bruciate dal fuoco del tuo amore.

Ecco le nostre mani segnate delle ceneri,
quelle delle nostre violenze distrutte dalla tua tenerezza.

Ecco i nostri piedi segnati dalle ceneri,
quelle dei falsi idoli dissolti al roveto ardente della verità.

I cammini dove tu ci inviti a seguirti sono anch’essi segnati delle ceneri,
non come segno di tristezza, ma come pegno di purezza.
La tua colonna di fuoco ha bruciato la spine:
le ceneri renderanno fertile il terreno pietroso delle nostre aride vite.

Così segnati dalle ceneri eccoci, Signore,
pronti a seguirti sulla via ardente che conduce alla Vita.
Lì, noi vogliamo bruciare le sovrastrutture inutili, le parole vane, i gesti di rifiuto.

Alla chiamata della tua bruciante Parola,
noi presenteremo i nostri cuori e ci convertiremo al Vangelo.
(tratto da "Ritiro On Line" - marzo 2006)


BUON CAMMINO QUARESIMALE!
p. Dino Lanza

padre dino
16/02/2006 , 22.45.19 av padre dino
Don Barsotti nel ricordo del suo successore
Edizione on line
Mercoledì 15 febbraio è morto don Divo Barsotti, l’ultimo mistico del Novecento. Avrebbe compiuto 92 anni il prossimo 14 aprile. Era infatti nato a Palaia (provincia di Pisa, ma diocesi di San Miniato) il 14 aprile 1914. Il decesso è avvenuto alle 9,30 nella sua stanza a Casa San Sergio, il piccolo eremo che dal 1955, a Settignano (sulle colline di Firenze), accoglie la Comunità dei figli di Dio da lui fondata nel lontano 1948 e che oggi conta più di duemila aderenti, tra religiosi e laici, sparsi in tutto il mondo. Autore di oltre 500 titoli tra libri e saggi, scrittore, poeta e predicatore, don Barsotti è unanimemente riconosciuto come una delle figure più luminose della Chiesa del secolo scorso. I funerali sono al momento previsti martedì 21 alle 15 nella basilica fiorentina della Santissima Annunziata. Pubblichiamo questo ricordo, scritto dal suo successore alla guida della Comunità dei Figli di Dio.

Don Divo Barsotti, unanimamente riconosciuto come una delle figure più luminose della Chiesa del '900, è stato uno scrittore, poeta, predicatore, fondatore di una Comunità di carattere contemplativo che conta più di duemila membri sparsi nel mondo, uomo dello Spirito.

Paradossalmente, per chi lo abbia cercato e abbia desiderato conoscerlo, non è stato facile mai scovarlo o incontrarlo, perché don Divo non ha mai amato né voluto le copertine, le immagini. “Gesù – scriveva Kierkegaard nei suoi Diari – non desidera ammiratori, ma seguaci; non vuole applausi, ma discepoli”. Così anche don Divo Barsotti: pur avendo grandi capacità e grandi doti, e una vita di preghiera fuori dal comune, è scappato sempre da ciò che può semplicemente apparire.

Irriducibile, anima tesa all'Assoluto, don Divo ha sempre dichiarato di aver cercato la volontà di Dio sino alla fine, senza sentirsi mai appagato in alcun posto. A inziare dalla propria Diocesi, San Miniato, appena ordinato sacerdote, tanto che nel dopoguerra il Vescovo lo lasciò partire volentieri per Firenze. Anche a Firenze un posto vero e proprio non lo ha mai avuto: troppo incandescente per avvicinarsi a lui: una parola viva ma anche tagliente, la sua. Dal Convento della Calza, dove il Cardinale Elia Dalla Costa lo aveva mandato come cappellano di suore, cominciò a farsi notare per la predicazione, ricca di toni nuovi per quel tempo, che richiedeva un rinnovamento della Chiesa, ossia di tutti i battezzati, chierici e laici, nella via della santità. Dopo gli anni di vita nascosta e di studi privati e personali a Palaia, le sue predicazioni colpivano per il vigore e il senso di Dio che trasemettevano, con quella esegesi biblica spirituale e spericolata, con quel richiamo continuo alla perfezione, con quel suo non intrupparsi e irreggimentarsi in alcuno schema.

Decisamente di indole contemplativa, quando nel 1951 scrisse il suo capolavoro “Il Mistero cristiano nell'anni liturgico”, non si accorse di aprire una scuola nuova, insieme a Odo Casel, peraltro mai conosciuto personalmente, che avrebbe avuto una grande importanza, ancora non esaurita, in seguito. Entrare nel Mistero, della vita e della morte, inserirsi nell'Atto di Cristo di morte e resurrezione, per salvare, con Lui, il mondo: questo è stato il punto fisso della vita e della predicazione di don Barsotti. Come? Semplice: con la preghiera oggettiva, la liturgia (S.Messa e Liturgia delle Ore), la contemplazione, il silenzio, l'esercizio della Divina Presenza continua, la preghiera del cuore. Cose che egli ha esercitato e insegnato a tutti i livelli.

Da giovane prete, per qualche anno volle andare in missione in India o in Oriente, ma i tentativi sempre fallirono; incarichi e impegni ufficiali la Chiesa non gliene diede mai; amicizie tante, ma sempre al di là dei gruppi e degli schieramenti. Giorgio La Pira, soprattutto, gli fu caro amico in quegli anni a Firenze. Ma la sua irrequietezza spiritale gli impediva di mettere radici da qualche parte in maniera definitiva.

Solo alcune donne anziane, della zona di Porta Romana a Firenze, nel dopoguerra osarono mettersi alla sua sequela, e don Divo, anziché proporre una direzione spirituale personale singolarmente, fece di loro un gruppetto di preghiera e di studio, dando un programma di vita che avrebbe impegnato severamente anche dei trappisti. Nacque così la Comunità dei figli di Dio, che avrebbe poi avuto nel tempo una lenta ma continua crescita in Italia e nel mondo.
Scrittore senza cercare pubblicità, uomo di preghiera che sentiva l'urgenza di comunicare la propria esperienza, amico di molti senza dipendere da nessuno, insegnante di teologia ma senza programmi didattici, padre di una Comunità numerosa ma senza averlo cercato, la vita di don Divo si riassume bene nel titolo di un suo Diario spirituale: “La fuga immobile”. Si fugge dal mondo, dalle sue convenzioni, dalle sue vanità e dal suo dominio, ma per rimanere immobili in Dio, fermi nei principi immutabili di sempre, nella Tradizione, nell'amore alla Chiesa.

Dopo il Concilio Vaticano II don Divo Barsotti non cambiò il tono delle sue proposte. Rinnovamento sì, ma non nelle strutture: nei cuori. Il richiamo alla santità personale, fino alla fine, è stato il suo grido profetico, che ha vissuto in prima persona, sempre. L'amore alla liturgia, alla Messa, sono i grandi richiami di don Divo. Chi potè assistere ad una sua celebrazione eucaristica, difficilmente la dimenticherà: non tanto per lui in sé, quanto perché, immergendosi in quell'Atto, a volte fino alla commozione e alle lacrime, introduceva i fedeli potentemente nel Mistero: la Messa diveniva la Presenza di Dio, del suo Sacrificio.

Don Divo ha scritto centinaia di libri, tradotti in molte lingue. E' assai conosciuto all'estero, in Francia, in Germania, in Spagna, persino in Russia, per aver parlato per primo in Italia di san Sergio, san Serafino, Silvano del Monte Athos, dei padri di Optina. Ha scritto migliaia di pagine, articoli di agiografia (conosceva benissimo tutti i santi e beati italiani, anche quelli semisconosciuti nelle proprie Diocesi), di spiritualità, commenti biblici (P. Alonso Shoekel era entusiasta di lui: prima di morire gli scrisse una lettera dalla Spagna obbligandolo a ristampare il libro sulla Genesi), poesie, saggi, eccetera... Ha tenuto gli esercizi alla Curia Romana al tempo di Paolo VI, ha predicato in decine di monasteri in Italia e all'estero, a seminaristi, sacerdoti, vescovi... ma sempre rimanendo lontano dai riflettori, come se gli bastasse essere conosciuto da Cristo e basta, nelle preghiera, nella pace.
Egli è consapevole del paradosso della sua missione e funzione: “Sofronio di Gerusalemme fu eletto Patriarca di Gerusalemme a 84 anni – annota nel suo diario l'8 giugno 1973 -; è necessaria tutta la vita per prepararsi a compiere quella che è la nostra missione. Cinquant'anni di silenzio, di macerazione solitaria, di fallimenti. Bisogna che l'uomo non viva più per compiere nulla. Quando sarà liberato da ogni volontà di potenza e non vivrà più la sua vita che nella profondità del silenzio, allora Dio userà di lui. Che nulla ti turbi. L'oblio di tutto il creato, la rinunzia ad ogni opera è condizione imprescindibile alla vera carità. Bisogna che tu realizzi l'assoluta grandezza della Presenza di Dio nel vuoto di tutto, nel silenzio di ogni creatura, nell'esperienza della tua povertà. Era necessario che tu passassi per questo deserto; è necessario che nel deserto tu debba morire bruciato dalla sete, scottato dal sole. In questo deserto, un giorno le ossa aride udranno un giorno la Sua voce: tu potrai levarti allora pronto alla battaglia e lo Spirito di Dio ti sosterrà, ti porterà.

La sua giornata di Casa San Sergio, piccola casa sui colli fiorentini nella quale ha vissuto dal 1956 fino alla morte, è stata scandita da un ritmo di preghiera, di silenzio, di meditazione, di ascolto. I suoi Diari spirituali, alcuni dei quali editi, sono dei veri e propri inni di amore e trattati di teologia – certo non sistematica: Dio appare come il grande amato, il grande ricercato, il senso stesso della vita e del mondo.

E in questo silenzio, in questo isolamento (don Divo è stato molto amato dai suoi affezionati lettori, dai suoi figli spirituali, dagli amici, dai religiosi in conventi e monasteri, ma ignorato dal mondo accademico), ci appare chiaro come il messaggio così cristologico e trinitario di don Divo possa essere il centro di una ripresa vitale della Chiesa, che con Giovanni Paolo II prima e con Benedetto XVI ora, richiama la cristianità ai propri doveri e responsabilità davanti ad un mondo secolarizzato e abbruttito dalla violenza. “Aprite le porte a Cristo!” è il grido che in don Divo ha un assoluto rilancio, proprio perché così lungamente meditato, un grido che può contribuire a dare luce e sale alla cristianità in Europa e nel mondo.

Don Divo è stato un uomo che ha dedicato tutta la vita a far conoscere agli uomini la bellezza della Verità contemplata nella fede. Passionale e forte, dolce e paterno, solitario e uomo di fede incrollabile, monaco e predicatore al tempo stesso, insofferente alle mode e capace con una parola di illuminare un'intera esistenza... tutto questo è stato don Divo Barsotti. Lascia dietro di sé scritti, libri e pagine che testimoniano la sua straordinaria esperienza di Dio, lascia una Comunità di anime consacrate, lascia tanti solchi aperti e pronti ad essere fecondati di nuovo dalla Sapienza divina.

Poco prima che la malattia finale gli togliesse lentamente la possiblità di leggere e scrivere, verso la fine del 2002, scrisse nel suoi appunti queste parole: “Nessuna fuga dal tempo porta via con sé quello che io vivo. Quello che io vivo entra con me nella Presenza di Colui che mi ama: nulla è pertuto, ma in Lui tutto si raccoglie. Non esiste la morte se veramente esiste l'Amore”.

Don Serafino Tognetti
Superiore della «Comunità dei figli di Dio»

BENEDETTO XVI: Quaresima 2006
31/01/2006 , 15.24.35 av CITTA' DEL VATICANO

CITTA' DEL VATICANO, 31 GEN. 2006 (VIS). Questa mattina è stato reso pubblico il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la Quaresima 2006, datato 20 settembre 2005, ed intitolato: "Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione".



Di seguito riportiamo la versione integrale del Documento:



"Carissimi fratelli e sorelle!"



"La Quaresima è il tempo privilegiato del pellegrinaggio interiore verso Colui che è la fonte della misericordia. È un pellegrinaggio in cui Lui stesso ci accompagna attraverso il deserto della nostra povertà, sostenendoci nel cammino verso la gioia intensa della Pasqua".



"Anche nella 'valle oscura' di cui parla il Salmista (Sal 23,4), mentre il tentatore ci suggerisce di disperarci o di riporre una speranza illusoria nell'opera delle nostre mani, Dio ci custodisce e ci sostiene. Sì, anche oggi il Signore ascolta il grido delle moltitudini affamate di gioia, di pace, di amore. Come in ogni epoca, esse si sentono abbandonate. Eppure, anche nella desolazione della miseria, della solitudine, della violenza e della fame, che colpiscono senza distinzione anziani, adulti e bambini, Dio non permette che il buio dell'orrore spadroneggi".



"Come infatti ha scritto il mio amato Predecessore Giovanni Paolo II, c'è un 'limite divino imposto al male', ed è la misericordia ("Memoria e identità", 29 ss). È in questa prospettiva che ho voluto porre all'inizio di questo Messaggio l'annotazione evangelica secondo cui 'Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione' (Mt 9,36)".



"In questa luce vorrei soffermarmi a riflettere su di una questione molto dibattuta tra i nostri contemporanei: la questione dello sviluppo. Anche oggi lo 'sguardo' commosso di Cristo non cessa di posarsi sugli uomini e sui popoli. Egli li guarda sapendo che il 'progetto' divino ne prevede la chiamata alla salvezza. Gesù conosce le insidie che si oppongono a tale progetto e si commuove per le folle: decide di difenderle dai lupi anche a prezzo della sua vita. Con quello sguardo Gesù abbraccia i singoli e le moltitudini e tutti consegna al Padre, offrendo se stesso in sacrificio di espiazione".



"Illuminata da questa verità pasquale, la Chiesa sa che, per promuovere un pieno sviluppo, è necessario che il nostro 'sguardo' sull'uomo si misuri su quello di Cristo. Infatti, in nessun modo è possibile separare la risposta ai bisogni materiali e sociali degli uomini dal soddisfacimento delle profonde necessità del loro cuore. Questo si deve sottolineare tanto maggiormente in questa nostra epoca di grandi trasformazioni, nella quale percepiamo in maniera sempre più viva e urgente la nostra responsabilità verso i poveri del mondo. Già il mio venerato Predecessore, il Papa Paolo VI, identificava con precisione i guasti del sottosviluppo come una sottrazione di umanità. In questo senso nell'Enciclica 'Populorum progressio' egli denunciava 'le carenze materiali di coloro che sono privati del minimo vitale, e le carenze morali di coloro che sono mutilati dall'egoismo... le strutture oppressive, sia che provengano dagli abusi del possesso che da quelli del potere, sia dallo sfruttamento dei lavoratori che dall'ingiustizia delle transazioni' (n. 21)".



"Come antidoto a tali mali Paolo VI suggeriva non soltanto 'l'accresciuta considerazione della dignità degli altri, l'orientarsi verso lo spirito di povertà, la cooperazione al bene comune, la volontà di pace', ma anche 'il riconoscimento da parte dell'uomo dei valori supremi e di Dio, che ne è la sorgente e il termine' (ibid.)".



"In questa linea il Papa non esitava a proporre 'soprattutto la fede, dono di Dio accolto dalla buona volontà dell'uomo, e l'unità nella carità di Cristo' (ibid.). Dunque, lo 'sguardo' di Cristo sulla folla, ci impone di affermare i veri contenuti di quell''umanesimo plenario' che, ancora secondo Paolo VI, consiste nello 'sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini' (ibid., n. 42). Per questo il primo contributo che la Chiesa offre allo sviluppo dell'uomo e dei popoli non si sostanzia in mezzi materiali o in soluzioni tecniche, ma nell'annuncio della verità di Cristo che educa le coscienze e insegna l'autentica dignità della persona e del lavoro, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell'uomo".



"Dinanzi alle terribili sfide della povertà di tanta parte dell'umanità, l'indifferenza e la chiusura nel proprio egoismo si pongono in un contrasto intollerabile con lo 'sguardo' di Cristo. Il digiuno e l'elemosina, che, insieme con la preghiera, la Chiesa propone in modo speciale nel periodo della Quaresima, sono occasione propizia per conformarci a quello 'sguardo'. Gli esempi dei santi e le molte esperienze missionarie che caratterizzano la storia della Chiesa costituiscono indicazioni preziose sul modo migliore di sostenere lo sviluppo".



"Anche oggi, nel tempo della interdipendenza globale, si può constatare che nessun progetto economico, sociale o politico sostituisce quel dono di sé all'altro nel quale si esprime la carità. Chi opera secondo questa logica evangelica vive la fede come amicizia con il Dio incarnato e, come Lui, si fa carico dei bisogni materiali e spirituali del prossimo. Lo guarda come incommensurabile mistero, degno di infinita cura ed attenzione. Sa che chi non dà Dio dà troppo poco, come diceva la beata Teresa di Calcutta: 'La prima povertà dei popoli è di non conoscere Cristo'. Perciò occorre far trovare Dio nel volto misericordioso di Cristo: senza questa prospettiva, una civiltà non si costruisce su basi solide".

"Grazie a uomini e donne obbedienti allo Spirito Santo, nella Chiesa sono sorte molte opere di carità, volte a promuovere lo sviluppo: ospedali, università, scuole di formazione professionale, micro-imprese. Sono iniziative che, molto prima di altre espressioni della società civile, hanno dato prova della sincera preoccupazione per l'uomo da parte di persone mosse dal messaggio evangelico. Queste opere indicano una strada per guidare ancora oggi il mondo verso una globalizzazione che abbia al suo centro il vero bene dell'uomo e così conduca alla pace autentica".



"Con la stessa compassione di Gesù per le folle, la Chiesa sente anche oggi come proprio compito quello di chiedere a chi ha responsabilità politiche ed ha tra le mani le leve del potere economico e finanziario di promuovere uno sviluppo basato sul rispetto della dignità di ogni uomo. Un'importante verifica di questo sforzo sarà l'effettiva libertà religiosa, non intesa semplicemente come possibilità di annunciare e celebrare Cristo, ma anche di contribuire alla edificazione di un mondo animato dalla carità. In questo sforzo si iscrive pure l'effettiva considerazione del ruolo centrale che gli autentici valori religiosi svolgono nella vita dell'uomo, quale risposta ai suoi più profondi interrogativi e quale motivazione etica rispetto alle sue responsabilità personali e sociali. Sono questi i criteri in base ai quali i cristiani dovranno imparare anche a valutare con sapienza i programmi di chi li governa".



"Non possiamo nasconderci che errori sono stati compiuti nel corso della storia da molti che si professavano discepoli di Gesù. Non di rado, di fronte all'incombenza di problemi gravi, essi hanno pensato che si dovesse prima migliorare la terra e poi pensare al cielo. La tentazione è stata di ritenere che dinanzi ad urgenze pressanti si dovesse in primo luogo provvedere a cambiare le strutture esterne. Questo ebbe per alcuni come conseguenza la trasformazione del cristianesimo in un moralismo, la sostituzione del credere con il fare. A ragione, perciò, il mio Predecessore di venerata memoria, Giovanni Paolo II, osservava: 'La tentazione oggi è di ridurre il cristianesimo ad una sapienza meramente umana, quasi a una scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una graduale secolarizzazione della salvezza, per cui ci si batte sì per l'uomo, ma per un uomo dimezzato. Noi invece sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale' (Enc. Redemptoris missio, 11)".



"È proprio a questa salvezza integrale che la Quaresima ci vuole condurre in vista della vittoria di Cristo su ogni male che opprime l'uomo. Nel volgerci al divino Maestro, nel convertirci a Lui, nello sperimentare la sua misericordia grazie al sacramento della Riconciliazione, scopriremo uno 'sguardo' che ci scruta nel profondo e può rianimare le folle e ciascuno di noi. Esso restituisce la fiducia a quanti non si chiudono nello scetticismo, aprendo di fronte a loro la prospettiva dell'eternità beata. Già nella storia, dunque, il Signore, anche quando l'odio sembra dominare, non fa mai mancare la testimonianza luminosa del suo amore. A Maria, 'di speranza fontana vivace' (Dante Alighieri, Paradiso, XXXIII, 12) affido il nostro cammino quaresimale, perché ci conduca al suo Figlio. A Lei affido in particolare le moltitudini che ancora oggi, provate dalla povertà, invocano aiuto, sostegno, comprensione. Con questi sentimenti a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica".

MESS/QUARESIMA 2006/... VIS 060131 (1410)


La pace si edifica con l'apporto di tutti
02/01/2006 , 15.25.55 av CITTA' DEL VATICANO


CITTA' DEL VATICANO, 1 GEN. 2006 (VIS). Alle 10:00 di questa mattina, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Celebrazione Eucaristica nella Solennità di Maria Santissima Madre di Dio e nella XXXIX Giornata Mondiale della Pace.



Nell'omelia il Santo Padre ha precisato che, scegliendo come tema del Messaggio della Giornata Mondiale della Pace "Nella verità, la pace", ha voluto esprimere la convinzione che "dove e quando l'uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, intraprende quasi naturalmente il cammino della pace".



Sottolineando che la pace "grande aspirazione del cuore di ogni uomo e di ogni donna si edifica giorno dopo giorno con l'apporto di tutti", il Papa ha affermato che: "Di fronte al permanere di situazioni di ingiustizia e di violenza che continuano ad opprimere diverse zone della terra, davanti a quelle che si presentano come le nuove e più insidiose minacce alla pace - il terrorismo, il nichilismo ed il fondamentalismo fanatico - diventa più che mai necessario operare insieme per la pace!".



"È necessario un 'sussulto' di coraggio e di fiducia in Dio e nell'uomo per scegliere di percorrere il cammino della pace. E questo da parte di tutti: singoli individui e popoli, Organizzazioni internazionali e potenze mondiali. In particolare, nel Messaggio per l'odierna ricorrenza, ho voluto richiamare l'Organizzazione delle Nazioni Unite a prender rinnovata coscienza delle sue responsabilità nella promozione dei valori della giustizia, della solidarietà e della pace, in un mondo sempre più segnato dal vasto fenomeno della globalizzazione".



Benedetto XVI ha detto ancora che: "Se la pace è aspirazione di ogni persona di buona volontà, per i discepoli di Cristo essa è mandato permanente che impegna tutti; è missione esigente che li spinge ad annunciare e testimoniare 'il Vangelo della Pace', proclamando che il riconoscimento della piena verità di Dio è condizione previa e indispensabile per il consolidamento della verità della pace. Possa questa consapevolezza crescere sempre più, sì che ogni comunità cristiana diventi 'fermento' di un'umanità rinnovata nell'amore".



Il Papa ha concluso l'omelia esortando ad apprendere dalla scuola di Maria "a diventare attenti e docili discepoli del Signore. Con il suo aiuto materno, desideriamo impegnarci a lavorare alacremente nel 'cantiere' della pace, alla sequela di Cristo, Principe della Pace".

HML/GIORNATA MONDIALE PACE/... VIS 060102 (380)







via della pace: dialogo, perdono, solidarietà



CITTA' DEL VATICANO, 1 GEN. 2006 (VIS). Questa mattina, prima di recitare l'Angelus, il Santo Padre Benedetto XVI si è rivolto alle migliaia di fedeli convenuti in Piazza San Pietro, ed ha ricordato che dal tempo liturgico del Natale "viene a noi una grande lezione: per accogliere il dono della pace, dobbiamo aprirci alla verità che si è rivelata nella persona di Gesù, il quale ci ha insegnato il 'contenuto' e insieme il 'metodo' della pace, cioè l'amore".



"Dio, infatti, che è l'Amore perfetto e sussistente" - ha proseguito il Pontefice - "si è rivelato in Gesù sposando la nostra condizione umana. In questo modo ci ha anche indicato la via della pace: il dialogo, il perdono, la solidarietà. Ecco l'unica strada che conduce alla vera pace".



Il Santo Padre ha invocato Maria Santissima "che oggi benedice il mondo intero mostrando il suo Figlio divino, il 'principe della pace'", affinché "la famiglia umana, aprendosi al messaggio evangelico, possa trascorrere l'anno che oggi inizia nella fraternità e nella pace".



Infine il Papa ha rivolto a tutti i presenti e a quanti erano collegati mediante la radio e la televisione i suoi "più cordiali auguri di pace e di bene".


Luce di betlemme non si è mai spenta
28/12/2005 , 16.20.52 av CITTA' DEL VATICANO
Messa di mezzanotte: luce di betlemme non si è mai spenta

CITTA' DEL VATICANO, 25 DIC. 2005 (VIS). A mezzanotte, nella Basilica Vaticana, il Santo Padre Benedetto XVI ha presieduto la Santa Messa della Notte per la Solennità del Natale del Signore 2005. Durante il canto del "Gloria in excelsis Deo" alcuni bambini provenienti dai diversi Continenti hanno presentato un omaggio floreale all'immagine di Gesù Bambino.



Dopo la proclamazione del Santo Vangelo, Benedetto XVI ha pronunciato l'omelia della quale riportiamo di seguito alcuni paragrafi:



"Il Signore mi ha detto: 'Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato'. Con queste parole del Salmo secondo, la Chiesa inizia la Santa Messa della veglia di Natale, nella quale celebriamo la nascita del nostro Redentore Gesù Cristo nella stalla di Betlemme. Una volta, questo Salmo apparteneva al rituale dell'incoronazione dei re di Giuda. Il popolo d'Israele, a causa della sua elezione, si sentiva in modo particolare figlio di Dio, adottato da Dio. (...) Nella notte di Betlemme queste parole, che erano di fatto più l'espressione di una speranza che una realtà presente, hanno assunto un senso nuovo ed inaspettato. Il Bimbo nel presepe è davvero il Figlio di Dio. Dio non è solitudine perenne, ma, un circolo d'amore nel reciproco darsi e ridonarsi, Egli è Padre, Figlio e Spirito Santo".



"Ancora di più: in Gesù Cristo, il Figlio di Dio, Dio stesso, Dio da Dio, si è fatto uomo. (...) L'eterno oggi di Dio è disceso nell'oggi effimero del mondo e trascina il nostro oggi passeggero nell'oggi perenne di Dio. Dio è così grande che può farsi piccolo. Dio è così potente che può farsi inerme e venirci incontro come bimbo indifeso, affinché noi possiamo amarlo. (...) Questo è il Natale: 'Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato'. Dio è diventato uno di noi, affinché noi potessimo essere con Lui, diventare simili a Lui. Ha scelto come suo segno il Bimbo nel presepe: Egli è così. In questo modo impariamo a conoscerlo. E su ogni bambino rifulge qualcosa del raggio di quell'oggi, della vicinanza di Dio che dobbiamo amare ed alla quale dobbiamo sottometterci - su ogni bambino, anche su quello non ancora nato".



"Ascoltiamo una seconda parola della liturgia di questa Notte santa, questa volta presa dal Libro del profeta Isaia: 'Su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. (...) Ma luce significa sopratutto conoscenza, significa verità in contrasto col buio della menzogna e dell'ignoranza. Così la luce ci fa vivere, ci indica la strada. Ma poi, la luce, in quanto dona calore, significa anche amore. Dove c'è amore, emerge una luce nel mondo; dove c'è odio, il mondo è nel buio. Sì, nella stalla di Betlemme, è apparsa la grande luce che il mondo attende".



"La luce di Betlemme non si è mai più spenta. Lungo tutti i secoli ha toccato uomini e donne, 'li ha avvolti di luce'. Dove è spuntata la fede in quel Bambino, lì è sbocciata anche la carità - la bontà verso gli altri, l'attenzione premurosa per i deboli ed i sofferenti, la grazia del perdono. A partire da Betlemme una scia di luce, di amore, di verità pervade i secoli. Se guardiamo ai santi - da Paolo ad Agostino fino a San Francesco e San Domenico, da Francesco Saverio e Teresa d'Avila a Madre Teresa di Calcutta - vediamo questa corrente di bontà, questa via di luce che, sempre di nuovo, si infiamma al mistero di Betlemme, a quel Dio che si è fatto Bambino. Contro la violenza di questo mondo Dio oppone, in quel Bambino, la sua bontà e ci chiama a seguire il Bambino".



"In questa notte, nella quale guardiamo verso Betlemme, vogliamo anche pregare in modo speciale per il luogo della nascita del nostro Redentore e per gli uomini che là vivono e soffrono. Vogliamo pregare per la pace in Terra Santa: Guarda, Signore, quest'angolo della terra che, come tua patria, ti è tanto caro! Fa' che lì rifulga la tua luce! Fa' che lì arrivi la pace!".



"Con il termine 'pace' siamo giunti alla terza parola-guida della liturgia di questa Notte santa. Il Bambino che Isaia annuncia è da lui chiamato 'Principe della pace'. Del suo regno si dice: 'La pace non avrà fine'. Ai pastori si annuncia nel Vangelo la 'gloria di Dio nel più alto dei cieli' e la 'pace in terra...'. Una volta si leggeva '...agli uomini di buona volontà'; nella nuova traduzione si dice: '...agli uomini che egli ama'. Che significa questo cambiamento? Non conta più la buona volontà? Poniamo meglio la domanda: Quali sono gli uomini che Dio ama, e perché li ama? Dio è forse parziale? Ama forse soltanto alcuni e abbandona gli altri a se stessi? Il Vangelo risponde a queste domande mostrandoci alcune precise persone amate da Dio. Ci sono persone singole - Maria, Giuseppe, Elisabetta, Zaccaria, Simeone, Anna, ecc. Ma ci sono anche due gruppi di persone: i pastori e i sapienti dell'Oriente, o cosiddetti re magi".



"Soffermiamoci in questa notte sui pastori. (...) Nel loro ambiente i pastori erano disprezzati; erano ritenuti poco affidabili e, in tribunale, non venivano ammessi come testimoni. Ma chi erano in realtà? Certamente non erano grandi santi, se con questo termine si intendono persone di virtù eroiche. Erano anime semplici. Il Vangelo mette in luce una caratteristica che poi, nelle parole di Gesù, avrà un ruolo importante: erano persone vigilanti. Questo vale dapprima nel senso esteriore: di notte vegliavano vicino alle loro pecore. Ma vale anche in un senso più profondo: erano disponibili per la parola di Dio, per l'Annuncio dell'angelo. La loro vita non era chiusa in se stessa; il loro cuore era aperto. In qualche modo, nel più profondo, erano in attesa di qualcosa, in attesa finalmente di Dio. La loro vigilanza era disponibilità - disponibilità ad ascoltare, disponibilità ad incamminarsi; era attesa della luce che indicasse loro la via. È questo che a Dio interessa. Egli ama tutti perché tutti sono creature sue".



"Tra i cristiani la parola pace ha poi assunto un significato tutto speciale: è diventata una parola per designare la comunione nell'Eucaristia. In essa è presente la pace di Cristo. Attraverso tutti i luoghi dove si celebra l'Eucaristia una rete di pace si espande sul mondo intero. Le comunità raccolte intorno all'Eucaristia costituiscono un regno della pace vasto come il mondo. Quando celebriamo l'Eucaristia ci troviamo a Betlemme, nella 'casa del pane'".


AUGURI NATALIZI AI MEMBRI DELLA CURIA ROMANA
22/12/2005 , 14.59.12 av CITTA' DEL VATICANO
CITTA' DEL VATICANO, 22 DIC. 2005 (VIS). Questa mattina, si è svolto nella Sala Clementina, il tradizionale incontro del Santo Padre con i Cardinali, Arcivescovi e Vescovi e i Membri della Curia Romana, per la presentazione degli auguri natalizi.



Il Santo Padre Benedetto XVI ha menzionato nel suo discorso i "grandi avvenimenti che hanno segnato profondamente la vita della Chiesa" nell'anno trascorso, la scomparsa di Giovanni Paolo II, la Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia e la celebrazione del 40° anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II.



"Nessun Papa" - ha detto Benedetto XVI, riferendosi al suo Predecessore - "ci ha lasciato una quantità di testi pari a quella che ci ha lasciato lui; nessun Papa in precedenza ha potuto visitare, come lui tutto il mondo e parlare in modo diretto agli uomini di tutti i continenti. Ma, alla fine, gli è toccato un cammino di sofferenza e di silenzio. (...) Non meno importante è la lezione che ci ha dato dalla cattedra della sofferenza e del silenzio".



"Nel suo ultimo libro 'Memoria e Identità'" - ha proseguito il Pontefice - "ci ha lasciato un'interpretazione della sofferenza che non è una teoria teologica o filosofica, ma un frutto maturato lungo il suo personale cammino di sofferenza, da lui percorso col sostegno della fede nel Signore crocifisso". Nel volume, il compianto Pontefice, "si mostra profondamente toccato dallo spettacolo del potere del male che, nel secolo appena terminato, ci è stato dato di sperimentare in modo drammatico". Di fronte alla domanda se esista un limite contro il quale si infranga la potenza del male, Giovanni Paolo II risponde nel volume che esso esiste: "il potere che al male mette un limite è la misericordia divina".



Benedetto XVI ha affermato ancora che: "Certo, noi dobbiamo fare del tutto per attenuare la sofferenza ed impedire l'ingiustizia che provoca la sofferenza degli innocenti. Tuttavia dobbiamo anche fare del tutto perché gli uomini possano scoprire il senso della sofferenza e unirla alla sofferenza di Cristo". Al riguardo il Papa ha ribadito che "la risposta che si è avuta in tutto il mondo alla morte del Papa è stata una manifestazione sconvolgente di riconoscenza per il fatto che egli, nel suo ministero, si è offerto totalmente a Dio per il mondo".



Riferendosi alla Giornata Mondiale della Gioventù celebrata a Colonia nell'agosto scorso, il Santo Padre ha detto che il tema scelto "Andiamo ad adorarlo", conteneva due grandi immagini: l'immagine del pellegrinaggio dell'uomo che si mette alla ricerca "della verità, della vita giusta, di Dio" e "l'uomo in adorazione". "La parola 'adorazione' ci porta al secondo grande avvenimento di cui vorrei parlare: il Sinodo dei Vescovi (ottobre 2005) e l'Anno dell'Eucaristia.



"È commovente per me vedere" - ha proseguito il Papa - "come dappertutto nella Chiesa si stia risvegliando la gioia dell'adorazione eucaristica e si manifestino i suoi frutti. Nel periodo della riforma liturgica spesso la Messa e l'adorazione fuori di essa erano viste come in contrasto tra loro. (...) Ricevere l'Eucaristia significa adorare Colui che riceviamo".

Successivamente Papa Benedetto si è soffermato sulla celebrazione della conclusione del Concilio Vaticano II quarant'anni fa e si è chiesto quale sia stato il risultato del Concilio e se sia stata recepito nel modo giusto.



I problemi della ricezione del Concilio "sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto" - ha detto Papa Benedetto - da una parte un'interpretazione "'ermeneutica della discontinuità e della rottura'", che "non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass media, e anche di una parte della teologia moderna"; dall'altra parte "l'ermeneutica della riforma', del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa. (...) L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare".



In merito alla ermeneutica della riforma Benedetto XVI ricorda "le parole ben note di Giovanni XXIII (...) quando dice che il Concilio 'vuole trasmettere pura ed integra la dottrina, senza attenuazioni o travisamenti" e che "è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo".



"È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa. (...) In questo senso il programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente esigente, come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica. Ma ovunque questa interpretazione è stata l'orientamento che ha guidato la ricezione del Concilio, è cresciuta una nuova vita e sono maturati frutti nuovi. Quarant'anni dopo il Concilio possiamo rilevare che il positivo e più grande e più vivo di quanto non potesse apparire nell'agitazione degli anni intorno al 1968".



Benedetto XVI afferma ancora che Papa Paolo VI, "nel suo discorso per la conclusione del Concilio, ha poi indicato ancora una specifica motivazione per cui un'ermeneutica della discontinuità potrebbe sembrare convincente. Nella grande disputa sull'uomo, che contraddistingue il tempo moderno, il Concilio doveva dedicarsi in modo particolare al tema dell'antropologia. Doveva interrogarsi sul rapporto tra la Chiesa e la sua fede, da una parte, e l'uomo ed il mondo di oggi, dall'altra. (...) Il Concilio doveva determinare in modo nuovo il rapporto tra Chiesa ed età moderna".



Il Papa ha ricordato infine le difficoltà che hanno caratterizzato tale rapporto, dal processo a Galileo, alla Rivoluzione Francese, dall'impatto del capitalismo e le due guerre mondiali, dalle ideologie del nazismo e del comunismo, senza dimenticare le problematiche poste dal progresso della scienza e i metodi storico-critici nella interpretazione delle Sacre Scritture.



"Si potrebbe dire che si erano formati tre cerchi di domande, che ora attendevano una risposta: (...) definire in modo nuovo la relazione tra fede e scienze moderne (...) definire in modo nuovo il rapporto tra Chiesa e Stato moderno" collegando "in modo più generale il problema della tolleranza religiosa (...) e definire in modo nuovo il rapporto tra la Chiesa e la fede di Israele".



"In tutti questi settori (...) poteva emergere una qualche forma di discontinuità (...) nella quale tuttavia, fatte le diverse distinzioni tra le concrete situazioni storiche e le loro esigenze, risultava non abbandonata la continuità nei principi . (...) È proprio in questo insieme di continuità e discontinuità a livelli diversi che consiste la natura della vera riforma. In questo processo di novità nella continuità dovremmo imparare a capire più concretamente di prima che le decisioni della Chiesa riguardanti cose contingenti - per esempio, certe forme concrete di liberalismo o di interpretazione liberale della Bibbia - dovevano necessariamente essere esse stesse contingenti, appunto perché riferite a una determinata realtà in se stessa mutevole. Bisognava imparare a riconoscere che, in tali decisioni, solo i principi esprimono l'aspetto duraturo, rimanendo nel sottofondo e motivando la decisione dal di dentro".



Successivamente il Papa ha fatto riferimento al tema della libertà religiosa ed ha ricordato che: "Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa. (...) La Chiesa antica, con naturalezza, ha pregato per gli imperatori e per i responsabili politici considerando questo un suo dovere; ma, mentre pregava per gli imperatori, ha invece rifiutato di adorarli, e con ciò ha respinto chiaramente la religione di Stato. (...) Una Chiesa missionaria, che si sa tenuta ad annunciare il suo messaggio a tutti i popoli, deve impegnarsi per la libertà della fede".



"Il Concilio Vaticano II, con la nuova definizione del rapporto tra la fede della Chiesa e certi elementi essenziali del pensiero moderno, ha rivisto o anche corretto alcune decisioni storiche, ma in questa apparente discontinuità ha invece mantenuto ed approfondito la sua intima natura e la sua vera identità. (...) Chi si era aspettato che con questo 'sì' fondamentale all'età moderna tutte le tensioni si dileguassero e l'apertura vero il mondo' così realizzata trasformasse tutto in pura armonia, aveva sottovalutato le interiori tensioni e anche le contraddizioni della stessa età moderna".



"Anche nel nostro tempo la Chiesa resta un 'segno di contraddizione'. (...) Non poteva essere intenzione del Concilio abolire questa contraddizione del Vangelo nei confronti dei pericoli e degli errori dell'uomo. Era invece senz'altro suo intendimento accantonare contraddizioni erronee o superflue, per presentare a questo nostro mondo l'esigenza del Vangelo in tutta la sua grandezza e purezza".



"Il passo fatto dal Concilio verso l'età moderna (...) appartiene in definitiva al perenne problema del rapporto tra fede e ragione, che si ripresenta in sempre nuove forme. (...) Così possiamo oggi con gratitudine volgere il nostro sguardo al Concilio Vaticano II: se lo leggiamo e recepiamo guidati da una giusta ermeneutica, esso può essere e diventare sempre di più una grande forza per il sempre necessario rinnovamento della Chiesa".


Al coro cappella sistina: la liturgia esige bellezza
22/12/2005 , 14.58.34 av CITTA' DEL VATICANO

CITTA' DEL VATICANO, 22 DIC. 2005 (VIS). Nel pomeriggio di ieri sono state pubblicate le parole di Papa Benedetto XVI al termine del concerto, martedì 20 dicembre, della Cappella Musicale Pontificia nella Cappella Sistina.



"Nella notte della nascita del Salvatore" - ha detto il Papa ai membri del Coro della Cappella Sistina - "gli angeli hanno annunciato ai Pastori la nascita di Cristo con le parole: 'Gloria in excelsis Deo et in terra pax hominibus'. La tradizione è da sempre convinta che gli angeli non abbiano semplicemente parlato come fanno gli uomini, ma che abbiano cantato e che fosse un canto di una bellezza celeste, il quale rivelava la bellezza del Cielo. La tradizione è anche convinta che i cori delle voci bianche possano farci sentire una risonanza del canto angelico. Ed è vero che nel canto della Cappella Sistina, nelle grandi liturgie, noi possiamo sentire la presenza della liturgia celeste, un po' della bellezza nella quale il Signore ci vuole comunicare la sua gioia".



"In realtà" - ha proseguito il Pontefice - "la lode di Dio esige il canto. (...) Per questo, il vostro contributo è essenziale per la liturgia;: non è un ornamento marginale, ma la liturgia come tale esige questa bellezza, esige il canto per lodare Dio e per dare gioia ai partecipanti".



"Per questo grande contributo vi vorrei dire grazie con tutto il mio cuore. La liturgia del Papa, la liturgia in San Pietro, deve essere la liturgia esemplare per il mondo. Voi sapete che con la televisione, con la radio, oggi in tutte le parti del mondo tante persone seguono questa liturgia. Imparano da qui, o non imparano da qui, che cosa è liturgia, come si deve celebrare la liturgia. Perciò è così importante, non solo che i nostri cerimonieri insegnino al Papa come celebrare bene la liturgia, ma anche che la Cappella Sistina sia un esempio di come si deve dare bellezza nel canto per la lode di Dio".


la luce del natale, simbolo del bene che vince il male
21/12/2005 , 15.08.47 av Dal vaticano
la luce del natale, simbolo del bene che vince il male


CITTA' DEL VATICANO, 21 DIC. 2005 (VIS). "La luce del Natale" è stato il tema della catechesi speciale del Santo Padre Benedetto XVI per l'Udienza Generale di oggi, tenutasi in Piazza San Pietro con la partecipazione di 15.000 persone.



"L'odierna Udienza generale" - ha detto il Santo Padre - "si svolge nel clima di lieta e trepida attesa per le festività natalizie ormai imminenti. (...) In questa ultima settimana di Avvento, la liturgia accompagna e sostiene il nostro cammino interiore con ripetuti inviti ad accogliere il Salvatore, riconoscendolo nell'umile Bambino che giace in una mangiatoia. È questo il mistero del Natale, che tanti simboli ci aiutano a meglio comprendere. Fra questi simboli c'è quello della luce, che è uno dei più ricchi di significato spirituale".



"La festa del Natale coincide, nel nostro emisfero" - ha spiegato il Santo Padre - "con i giorni dell'anno nei quali il sole termina la sua parabola discendente e si avvia ad allungare gradualmente il tempo di luce diurna, secondo il ricorrente susseguirsi delle stagioni. Questo ci aiuta a meglio comprendere il tema della luce che sopravanza le tenebre. È simbolo evocatore di una realtà che tocca l'intimo dell'uomo: mi riferisco alla luce del bene che vince il male, (...) della vita che sconfigge la morte. A questa luce interiore, alla luce divina fa pensare il Natale, che torna a riproporci l'annuncio della definitiva vittoria dell'amore di Dio sul peccato e la morte. (...) Preparandoci a celebrare con gioia la nascita del Salvatore nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità ecclesiali, mentre una certa cultura moderna e consumistica tende a far sparire i simboli cristiani dalla celebrazione del Natale, sia impegno di tutti cogliere il valore delle tradizioni natalizie, che fanno parte del patrimonio della nostra fede e della nostra cultura, per trasmetterle alle nuove generazioni".



"In particolare, nel vedere strade e piazze delle città addobbate da luminarie sfolgoranti, ricordiamo che queste luci ci richiamano ad un'altra luce, invisibile agli occhi, ma non al cuore. Mentre le ammiriamo, mentre accendiamo le candele nelle Chiese o l'illuminazione del presepe e dell'albero di Natale nelle case, si apra il nostro animo alla vera luce spirituale recata a tutti gli uomini di buona volontà".



Il Papa ha concluso la catechesi esortando "a mantenere vivo lo stupore interiore (...) per la celebrazione ormai prossima della nascita del Salvatore" ed ha presentato a tutti i "più cordiali auguri di un santo e lieto Natale".


Riflessioni sul ruolo dei laici nella chiesa
19/12/2005 , 17.36.50 av Dal Vaticano
riflessioni sul ruolo dei laici nella chiesa



CITTA' DEL VATICANO, 17 DIC. 2005 (VIS). Nel ricevere questa mattina il terzo gruppo di Presuli della Conferenza Episcopale della Polonia al termine della Visita "ad Limina Apostolorum", il Santo Padre ha presentato alcune riflessioni sul ruolo dei laici nella Chiesa.



Ribadendo che l'ambiente più fondamentale nella struttura della Chiesa è l'ambiente della parrocchia, il Papa ha affermato che: "La prima e più importante esigenza è che la parrocchia costituisca una 'comunità ecclesiale'. Anche se si tratta di parrocchie molto numerose, occorre fare ogni sforzo possibile affinché esse non si riducano a una massa di fedeli anonimi. Naturalmente nella realizzazione di tale compito è insostituibile il ruolo dei sacerdoti, e in modo particolare dei parroci. (...) È importante anche la partecipazione attiva dei laici nella formazione della comunità. (...) La collaborazione dei Consigli con i Pastori deve sempre svolgersi nello spirito di comune sollecitudine per il bene dei fedeli".



Il Santo Padre ha ribadito che è necessario "un vivo contatto dei Pastori con le diverse comunità di apostolato che operano nell'ambito della parrocchia. Non si può neppure dimenticare la necessità della collaborazione tra le comunità stesse. Mai dovrebbero esserci rivalità tra di esse".



"I Pastori della Chiesa" - ha proseguito il Pontefice - "devono fare ogni sforzo affinché il popolo loro affidato sia cosciente della grandezza di tale dono e si accosti con la maggiore frequenza possibile a questo Sacramento dell'amore sia nella Celebrazione eucaristica e nella comunione, che nell'adorazione". In merito il Papa ha invitato i sacerdoti a prendersi cura dei bambini e dei giovani che si accostano all'altare del Signore come chierichetti e lettori ed abbiano "sollecitudine pastorale anche per le ragazze che partecipano attivamente, nel loro ruolo, alla Liturgia. Questo servizio pastorale può portare molti frutti per le vocazioni sacerdotali e religiose".



Riguardo ai movimenti ecclesiali, Papa Benedetto ha ricordato il dovere del Vescovo diocesano di mantenere "un contatto vivo con essi, incoraggiandoli ad operare conformemente al carisma riconosciuto dalla Chiesa e a guardarsi, nello stesso tempo, dalla chiusura verso la realtà che li circonda". In quanto ai movimenti che hanno stabilito un contatto con le Chiese non cattoliche, il Papa ha affermato che occorre che "i Vescovi abbiano cura di fare interpretare correttamente l'ecumenismo. Esso deve sempre consistere nella ricerca della verità e non dei facili compromessi che possono portare i movimenti cattolici a perdere la propria identità".



Riguardo a coloro che occupano posti di primo piano nella società o che si dedicano alla politica, il Papa ha affermato che essi non possono rimanere privi di aiuto da parte della Chiesa ed ha ribadito la necessità che "si abbia una giusta visione dei rapporti tra la comunità politica e la Chiesa e che si faccia una chiara distinzione tra le azioni che i fedeli, individualmente o in gruppo, compiono in proprio nome, come cittadini, guidati dalla coscienza cristiana, e le azioni che essi compiono in nome della Chiesa in comunione con i loro pastori".



Il Papa ha concluso il suo discorso riferendosi alle varie forme di volontariato che portano aiuto ai malati, alle persone sole, ai portatori di handicap fisico o mentale. "So che in Polonia" - ha detto Benedetto XVI - "si sta sviluppando anche il volontariato che si propone come scopo la difesa della vita umana. (...) Tutti costoro attendono l'incoraggiamento e il sostegno morale da parte dei Vescovi, dei sacerdoti e di tutta la comunità dei credenti. Che esso non manchi!".



"Le missioni" - ha detto infine il Santo Padre - "sono un altro campo della vita della Chiesa, nel quale si impegnano i volontari. Sempre più numerosi laici partono per i paesi di missione, per lavorare lì secondo la loro preparazione professionale e i propri talenti, e allo stesso tempo per dare una testimonianza di amore cristiano agli abitanti delle più povere regioni del mondo. È un'attività degna di ammirazione e di riconoscimento".

AL/.../POLONIA VIS 051219 (650)

Dalla parrocchia al volontariato un laicato pronto
17/12/2005 , 22.44.11 av Padre Dino
Dalla parrocchia al volontariato un laicato pronto
a correre in aiuto dei bisognosi ovunque essi siano

E' una riflessione centrata sul ruolo dei fedeli laici nella Chiesa quella che Benedetto XVI ha proposto al terzo gruppo di Vescovi della Polonia ricevuto in udienza nella Sala del Concistoro, nella mattina di sabato 17 dicembre, in occasione della visita "ad limina Apostolorum". Ecco i punti nodali del discorso del Santo Padre:


"La prima e più importante esigenza è che la parrocchia costituisca una "comunità ecclesiale" e una "famiglia ecclesiale"";


"È importante la partecipazione attiva dei laici nella formazione della comunità. Ho qui in mente prima di tutto i Consigli pastorali e i Consigli per gli affari economici";


"È necessario anche un vivo contatto dei Pastori con le diverse comunità di apostolato che operano nell'ambito della parrocchia. Non si può neppure dimenticare la necessità della collaborazione tra le comunità stesse";


"In riferimento all'evangelizzazione, ho già parlato della necessità della catechesi degli adulti. Essa, sebbene basata sulla Sacra Scrittura e sul Magistero della Chiesa, deve poi concentrarsi sull'esperienza sacramentale, e particolarmente sull'impegno a vivere il mistero dell'Eucaristia";


"Nel secolo passato, specialmente dopo il Concilio, si sono sviluppati nella Chiesa vari movimenti aventi come fine l'evangelizzazione. Tali movimenti non possono esistere per così dire "accanto" alla comunità universale della Chiesa. Perciò fa parte dei compiti del Vescovo diocesano mantenere un contatto vivo con essi, incoraggiandoli ad operare conformemente al carisma riconosciuto dalla Chiesa e a guardarsi, nello stesso tempo, dalla chiusura verso la realtà che li circonda";


"Molti di questi movimenti hanno stabilito un vivo contatto con le Chiese non cattoliche. Essi possono recare un importante contributo nel lavoro di costruzione dei legami ecumenici";


"I politici cristiani non possono rimanere privi di aiuto da parte della Chiesa. Si tratta qui, in modo particolare, dell'aiuto a prendere coscienza della loro identità cristiana e dei valori morali universali che si fondano nella natura dell'uomo, così da impegnarsi, in base a una retta coscienza, a trasfonderli negli ordinamenti civili, in vista dell'edificazione di una convivenza rispettosa dell'uomo in ogni sua dimensione";


"Si stanno sviluppando anche varie forme di volontariato, che si prefiggono come fine l'aiuto ai bisognosi presenti nel proprio ambiente... Non si può non apprezzare l'opera di quanti si ispirano all'esempio del samaritano evangelico";


"So che in Polonia si sta sviluppando anche il volontariato che si propone come scopo la difesa della vita umana. Si deve gratitudine a tutti coloro che intraprendono un'opera di educazione, di preparazione alla vita matrimoniale e familiare, e difendono il diritto alla vita di ogni essere umano dal concepimento fino alla morte naturale. Molti impegnano in tale attività i propri mezzi materiali, altri il proprio tempo, altri ancora offrono il dono della preghiera";


"Le missioni sono un altro campo della vita della Chiesa, nel quale si impegnano i volontari. Sempre più numerosi laici partono per i paesi di missione, per lavorare lì secondo la loro preparazione professionale e i propri talenti, e allo stesso tempo per dare una testimonianza di amore cristiano agli abitanti delle più povere regioni del mondo".

(©L'Osservatore Romano - 18 Dicembre 2005)

IL PAPA PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
16/12/2005 , 15.23.35 av Dal Vaticano
MESSAGGIO DEL PAPA PER LA GIORNATA MONDIALE DEL MALATO



CITTA' DEL VATICANO, 16 DIC. 2005 (VIS). Oggi è stato pubblicato il Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI per la XIV Giornata Mondiale del Malato che si celebra tutti gli anni l'11 febbraio, Memoria Liturgica della Beata Vergine di Lourdes. Nel 2006 la Giornata si celebrerà ad Adelaide (Australia) e le manifestazioni culmineranno con la Celebrazione eucaristica nella Cattedrale dedicata a San Francesco Saverio.



Nel Messaggio, datato 8 dicembre, il Papa sottolinea che con questa Giornata "la Chiesa intende chinarsi con particolare sollecitudine sui sofferenti, richiamando l'attenzione della pubblica opinione sui problemi connessi col disagio mentale, che colpisce ormai un quinto dell'umanità e costituisce una vera e propria emergenza socio-sanitaria".



Il Santo Padre ricorda che: "In molti Paesi non esiste ancora una legislazione in materia ed in altri manca una politica definita per la salute mentale". Inoltre i "conflitti armati", le "catastrofi naturali", il "terrorismo, oltre a causare un numero impressionante di morti, hanno generato in non pochi superstiti traumi psichici".



Per quanto attiene ai Paesi ad alto sviluppo economico, il Papa osserva che: "all'origine di nuove forme di malessere mentale gli esperti riconoscono anche l'incidenza negativa della crisi dei valori morali. Ciò accresce il senso di solitudine, minando e persino sfaldando le tradizionali forme di coesione sociale (...) ed emarginando i malati, particolarmente quelli mentali, considerati sovente come un peso per la famiglia e per la comunità".



Ringraziando quanti "ispirandosi a ideali e principi umani ed evangelici" si prendono cura dei malati mentali, il Santo Padre afferma:"Purtroppo, in molte parti del mondo i servizi per questi malati risultano carenti, insufficienti (...). Il contesto sociale non sempre accetta i malati di mente con le loro limitazioni, e anche per questo si registrano difficoltà nel reperire le risorse umane e finanziarie di cui c'è bisogno".



"Si avverte la necessità di meglio integrare il binomio 'terapia appropriata e sensibilità nuova di fronte al disagio', così da permettere agli operatori del settore di andare incontro più efficacemente a quei malati ed alle famiglie, le quali da sole non sarebbero in grado di seguire adeguatamente i congiunti in difficoltà".



Il Santo Padre Benedetto XVI conclude rivolgendosi ai malati sottoposti ad una prova tanto dura e li invita "ad offrire insieme con Cristo la vostra condizione di sofferenza al Padre, sicuri che ogni prova accolta con rassegnazione è meritoria ed attira la benevolenza divina sull'intera umanità".



Infine, il Papa raccomanda quanti assistono i malati, in particolare i medici e gli infermieri, i cappellani, gli operatori pastorali, le associazioni ed organizzazioni del volontariato a "sostenere, con forme ed iniziative concrete, le famiglie che hanno a carico malati di mente, verso i quali auspico che cresca e si diffonda la cultura dell'accoglienza e della condivisione, grazie pure a leggi adeguate ed a piani sanitari che prevedano sufficienti risorse per la loro concreta applicazione".


AFFRONTATE CON CORAGGIO PRESENTE
13/12/2005 , 8.34.59 av CITTA' DEL VATICANO
PERSONE CONSACRATE: AFFRONTATE CON CORAGGIO PRESENTE


CITTA' DEL VATICANO, 10 DIC. 2005 (VIS). Questa mattina, nell'Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI ha ricevuto ottomila religiosi, religiose e membri di istituti Secolari e di Società di Vita Apostolica della Diocesi di Roma.



Salutando i partecipanti all'Udienza, il Papa ha rivolto anche "un pensiero particolare (...) a quanti vivono nei monasteri di vita contemplativa e che sono a noi spiritualmente uniti, come pure alle persone di vita consacrata provenienti dall'Africa, dall'America Latina e dall'Asia che studiano a Roma".



"Da sempre" - ha proseguito il Pontefice - "i consacrati e le consacrate costituiscono nella Chiesa di Roma una preziosa presenza, anche perché offrono una peculiare testimonianza dell'unità e dell'universalità del Popolo di Dio. (...) Il complesso contesto sociale e culturale della nostra Città nel quale vi trovate ad agire domanda da parte vostra, oltre una costante attenzione alle problematiche locali, una coraggiosa fedeltà al carisma che vi contraddistingue. Sin dalle origini, in effetti, la vita consacrata si è caratterizzata per la sua sete di Dio. (...) Non abbiate paura di presentarvi anche visibilmente, come persone consacrate, e cercate in ogni modo di manifestare la vostra appartenenza a Cristo".



Successivamente il Papa ha ricordato che le persone consacrate sono ben inserite nei programmi della Diocesi "collaborando nei vari rami dell'azione pastorale, grazie anche al collegamento che svolgono gli organismi di rappresentanza della vita consacrata come la Conferenza Italiana Superiori Maggiori e l'Unione delle Superiore Maggiori d'Italia, il Gruppo Istituti Secolari e l'Ordo Virginum". Benedetto XVI ha invitato i consacrati e le consacrate a proseguire tale collaborazione, consolidando "la vostra fedeltà agli impegni assunti, al carisma di ogni vostro istituto e agli orientamenti della Chiesa locale".



"La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza, ha bisogno di una vita consacrata che affronti con coraggio e creatività le sfide del tempo presente. Di fronte all'avanzata dell'edonismo, a voi è richiesta la coraggiosa testimonianza della castità. (...) Di fronte alla sete di denaro, la vostra vita sobria e pronta al servizio dei più bisognosi ricorda che Dio è la ricchezza vera che non perisce. Di fronte all'individualismo e al relativismo (...) la vostra vita fraterna, capace di lasciarsi coordinare e quindi capace di obbedienza, conferma che voi ponete in Dio la vostra realizzazione".



Il Papa ha concluso il suo discorso ricordando il quarantesimo anniversario della promulgazione del decreto conciliare "Perfectae caritatis", dedicato alle persone consacrate ed ha affermato: "La persona consacrata vive nel tempo, ma il suo cuore è proiettato oltre il tempo e all'uomo contemporaneo spesso assorbito dalle cose del mondo testimonia che il suo vero destino è Dio stesso".

AC/PERSONE CONSACRATE/ROMA

DIO SI SCHIERA IN DIFESA DEI DEBOLI
07/12/2005 , 15.27.53 av Padre Dino
DIO SI SCHIERA IN DIFESA DEI DEBOLI E CIò è RESO NOTO AI RE



CITTA' DEL VATICANO, 7 DIC. 2005 (VIS). Il Santo Padre Benedetto XVI ha proseguito la catechesi dei Salmi per l'Udienza Generale di oggi, tenutasi in Piazza San Pietro con la partecipazione di 20.000 persone, commentando il Salmo 137: "Rendimento di grazie".



L'orante, ha detto il Papa, "leva la sua voce nella cornice dell'assemblea del tempio o, per lo meno, avendo come riferimento il Santuario di Sion, sede della presenza del Signore e del suo incontro con il popolo dei fedeli".



"Infatti, il Salmista confessa di 'prostrarsi verso il tempio santo' gerosolimitano: là egli canta davanti a Dio che è nei cieli con la sua corte di angeli, ma che è anche in ascolto nello spazio terreno del tempio. L'orante è certo che il 'nome' del Signore, ossia la sua realtà personale viva e operante, e le sue virtù della fedeltà e della misericordia, segni dell'alleanza col suo popolo, sono il sostegno di ogni fiducia e di ogni speranza. Lo sguardo si rivolge, allora, per un istante al passato, al giorno della sofferenza: allora, al grido del fedele angosciato aveva risposto la voce divina. Essa aveva infuso coraggio nell'anima turbata".



"Dopo questa premessa apparentemente personale" - ha proseguito il Pontefice - "il salmista allarga lo sguardo sul mondo e immagina che la sua testimonianza coinvolga tutto l'orizzonte: 'tutti i re della terra' (...) si associano all'orante ebreo in una lode comune in onore della grandezza e potenza sovrana del Signore".



"Il contenuto di questa lode corale" - ha spiegato il Papa - "che sale da tutti i popoli ha come primo tema la 'gloria' e le 'vie del Signore'. (...) Si scopre, così, che Dio è certamente 'eccelso' e trascendente, ma 'guarda verso l'umile' con affetto, mentre allontana dal suo volto il superbo in segno di reiezione e di giudizio. (...) Dio fa, dunque, la scelta di schierarsi in difesa dei deboli, delle vittime, degli ultimi: questo è reso noto a tutti i re, perché sappiano quale debba essere la loro opzione nel governo delle nazioni".



Al termine del Salmo, l'orante "implora un aiuto da Dio anche per le prove che l'esistenza ancora gli riserverà. Si parla in modo sintetico della 'ira dei nemici', una specie di simbolo" - ha spiegato Papa Benedetto - "di tutte le ostilità che possono pararsi innanzi al giusto durante il suo cammino nella storia".



"Dobbiamo essere certi che," - ha concluso il Santo Padre - "per quanto siano pesanti e tempestose le prove che ci attendono, noi non saremo mai abbandonati a noi stessi, non cadremo mai fuori delle mani del Signore, quelle mani che ci hanno creato e che ora ci seguono nell'itinerario della vita. Come confesserà San Paolo, 'Colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento".

AG/SALMO 137/... VIS 051207 (480)


IL "SILENZIO"
07/12/2005 , 12.43.47 av padre Dino
IL "SILENZIO"
(dall'eremo di S.MORO sui Lessini)

DIO è silenzio...
DIO creò nel silenzio...
DIO agisce nel silenzio...

LA CREAZIONE vive nel silenzio...

IL VIVERE DELL'UOMO è nel silenzio...

LA CREATURA cresce nel silenzio...
IL SOLE, LA LUNA E LE STELLE stanno in silenzio...
UN'ICONA parla nel suo silenzio...
OGNI PAESAGGIO stupisce nel silenzio...
L'UOMO ritrova se stesso nel silenzio...
OGNI BELLEZZA vive nel silenzio...
L'ESSERE inizia col silenzio...

LA VITA inizia in ogni istante di silenzio...
UN FIORE, UN FILO D'ERBA, UNA PIANTA cresce nel silenzio.

IL SILENZIO è VIVO, FECONDO, EFFICACE
CERCA IL SILENZIO IN TE e fuori di te...

IL SILENZIO è IL GIARDINO DI DIO
IL SILENZIO è ASCOLTO, è SAGGEZZA.



Buon Tempo di attesa...
in Gesù e Maria
Ti benedico
p. Dino

consolidamento della pace
07/12/2005 , 12.38.51 av padre dino
consolidamento della pace e rispetto dei diritti umani



CITTA' DEL VATICANO, 6 DIC. 2005 (VIS). L'Arcivescovo Giovanni Lajolo, Segretario per i Rapporti con gli Stati, è intervenuto oggi a Ljubljana (Slovenia), alla XIII Riunione dei Ministri degli Esteri dei 55 Stati Partecipanti all'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE)



All'inizio del suo discorso l'Arcivescovo Lajolo ha ricordato che l'obiettivo perseguito dagli Stati partecipanti alla Riunione è "il consolidamento della pace con la simultanea realizzazione della sicurezza, della stabilità, dello sviluppo e del rispetto dei diritti umani".



"La Santa Sede" - ha affermato l'Arcivescovo - "considera suo dovere distintivo insistere sulla importanza fondamentale della libertà religiosa per la coesistenza pacifica ed il rispetto fra le diverse culture nella società contemporanea multietnica e multiculturale".



Il Segretario per i Rapporti con gli Stati ha ribadito che: "La Santa Sede apprezza grandemente l'intenzione degli Stati partecipanti di dedicare maggiore attenzione al flagello del traffico degli esseri umani e sostiene la volontà di adottare una struttura di sostegno per le vittime".



"Riguardo alla questione della migrazione, l'OSCE può offrire un valido contributo così che le politiche degli Stati partecipanti tengano conto dell'unità della famiglia umana e della famiglia di ciascun migrante, ed offrano garanzie di prosperità e di rispetto per tutti".



L'Arcivescovo Lajolo ha concluso il suo intervento sottolineando che "Nelle aree del traffico degli esseri umani e delle migrazioni, sono necessarie misure concrete di assistenza per alleviare le sofferenze di molti uomini e donne, e per ristabilire il rispetto della loro dignità umana".

DELSS/PACE:DIRITTI UMANI/OSCE:LAJOLO VIS 051206 (260)


 

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