Capo d'Orlando
   
Home

Orlandina Basket

My status Chat with me Skype Me™! Add me to Skype Send me a file

- Benvenuti - orlandini connessi 543

Turismo
Home Foto  Chat Forum Cartoline Amicizia Storia Orlandini Visitatore
Turismo Pescaturismo Storia Mappe Sport Karate Telefoni utili Links- Estate Luglio
Estate Luglio Carnevale '04 Teatro '04 Teatro '05 Spettacolo Forum Bkt Sfondi P.Dino Sw.Ananda

CASE VACANZE A CAPO D'ORLANDO clicca qui!

   SocialTwist Tell-a-Friend

Lettera aperta - lunedì 14 luglio 2008 at 09:16
Vincenzo Amato
via Passoforno, 55
98060 PIRAINO (ME)
vincenzoamato@tiscali.it




Al sig. Sindaco di Capo d'Orlando
dott. Roberto Sindoni

Lettera aperta

Egregio sig. sindaco,

da tempo Lei si è fatto promotore di un processo di revisione storica culminato con la modifica della toponomastica di alcune piazze di Capo d'Orlando.
Il 2 luglio dello scorso anno, infatti, ha intitolato l’ex piazza Lauria a Blasco d’Alagona, mentre il 4 luglio di quest'anno ha eliminato l'intitolazione a Giuseppe Garibaldi della piazza antistante la stazione sostituendola con "Piazza IV luglio".
I due episodi sono tra di loro collegati e si riferiscono alla cruenta battaglia navale che si svolse nel mare e sulle spiagge di Capo d’Orlando il 4 luglio del 1299 durante la quale Blasco d'Alagona riuscì a proteggere la persona del Re (Federico III), che rappresentava il simbolo dell'unione siciliana e, nello stesso tempo, salvò anche numerose navi della flotta reale.
Con tali scelte, a Suo dire, non intende cambiare il corso della storia, ma ristabilire i fatti per come realmente si sono svolti e, partendo dalla toponomastica, avviare una battaglia per riscattare la sicilianità invitando tutti i sindaci della Sicilia ad unirsi a Lei. In particolare, in occasione della distruzione (l'ha proprio presa a martellate) della targa di Garibaldi, ha testualmente affermato “Riappropriamoci del nostro passato per guardare meglio il nostro futuro. Per questo motivo il mio invito è rivolto a tutti i colleghi. Così come abbiamo cominciato a fare a Capo d’Orlando, si tolgano dalla toponomastica regionale tutti i nomi di quelle persone che sulla pelle dei siciliani hanno fatto fortuna. Abbiamo tanti veri eroi che realmente per la nostra amata terra si sono immolati. Oggi per la maggior parte di loro c’è l’anonimato più assoluto. Quindi partiamo da Garibaldi che, proprio qui, con la sua spedizione di mercenari, ha fatto tantissime vittime e cancelliamo il suo nome dalle nostre città. Cominciamo a dare un segnale forte a tutta l’Italia: in Sicilia sono finiti i tempi delle conquiste. Riappropriamoci dunque della nostra storia e del nostro orgoglio”

Tali scelte, a mio avviso, sono frutto di mistificazione storica. L'intitolazione delle piazze alla battaglia del 4 luglio 1299 e a Blasco d'Alagona, che nel frangente si battè (perdendo, tra l'altro, in malo modo) a difesa del re Federico III, hanno poco a che fare con l'eroismo e con i martiri siciliani. Se, infatti, si valutano in maniera più approfondita le vicende che accaddero ben 9 secoli fa e il ruolo che ebbero coloro i quali dovrebbero rappresentare degli eroi immolatisi per la Sicilia, si scopre che la realtà è ben diversa rispetto a quella che si vuole fare apparire.
Innanzi tutto si tratta di personaggi non siciliani in quanto sia Blasco d'Alagona, sia il re Federico III erano spagnoli.
Non è questa la sede, o l'occasione, per fare per un'analisi storica approfondita, tra l'altro non ne avrei titolo, ma alcuni riferimenti sono necessari per conoscere i personaggi che a Suo giudizio avrebbero i titoli per assurgere a simboli di riscatto della sicilianità.
Dalla consultazione dei testi di storia riguardanti tale periodo si apprende che Federico III nacque a Barcellona (Spagna) nel 1272. Era figlio terzogenito del re d'Aragona Pietro III il Grande e di Costanza di Sicilia, figlia del re di Sicilia Manfredi, quindi nipote dell'imperatore Federico II di Svevia.
Il 19 giugno 1291, suo fratello primogenito, il sovrano della corona d'Aragona Alfonso III, morì improvvisamente lasciando l'Aragona, Valencia, la Catalogna ed il governo di Maiorca al secondogenito, Giacomo il Giusto e disponendo che la Sicilia andasse al terzogenito Federico; ma Giacomo dopo essersi fatto incoronare a Saragozza nel mese di luglio, come successore di Pietro III e non di Alfonso III, ne trascurò il testamento e si tenne il regno di Sicilia, a scapito di Federico.
Il giovane Federico, nello stesso 1291, fu inviato, come luogotenente del fratello Giacomo II, in Sicilia, dove raggiunse la madre Costanza.
Giacomo II voleva porre fine alla situazione che vedeva l'Aragona in perenne lotta contro il papato la Francia e la situazione si sbloccò dopo l'elezione al papato, il 23 dicembre 1294, di Bonifacio VIII, che, elaborando la proposta del suo predecessore, papa Celestino V, ad Anagni, il 12 giugno del 1295, stipulò con Giacomo e con Carlo II d'Angiò il Trattato di Anagni. Con questo accordo, Giacomo acconsentì a cedere la Sicilia; in cambio avrebbe ottenuto i feudi di Sardegna e di Corsica, se li avesse saputi conquistare, e avrebbe sposato la figlia di Carlo II d'Angiò; mentre Federico, che perdeva il governatorato della Sicilia sarebbe stato compensato dal matrimonio con l'erede dell'impero d'oriente, Caterina Courtenay. A Federico la prospettiva di perdere il regno di Sicilia non andò giù e avendo subodorato il malcontento dei siciliani verso il re Giacomo, dal quale si sentivano traditi, rifiutò il trattato e si schierò furbescamente con i siciliani alimentando il loro malcontento fino a che nel 1296 dichiararono decaduto Giacomo e lo elessero al trono di Sicilia.
Fin qui niente di eroico: i soliti giochi di potere tra le casate che nel corso dei secoli hanno dominato la Sicilia che, anche quando sembravano mosse da nobili ideali, alla fine hanno agito soprattutto per scopi e interessi personali.
Tuttavia l'ascesa al trono di questo nuovo re fu segnata da una grande novità: la proclamazione venne effettuata dal parlamento Siciliano e il giorno stesso della sua elezione egli presentò e sottopose ai parlamentari le Constitutiones regales, cui seguirono pochi mesi dopo i Capitula alia, le Ordinationes generalis ed altri testi.
La novità e la modernità federiciana sta proprio nel fatto che egli presentò e sottopose la Costituzione del Regno di Sicilia al giudizio del parlamento e fu promulgata previa approvazione il giorno stesso dell’elezione del re cercando con ciò di dare un ordinamento allo Stato fin dal giorno del suo insediamento. Sulla carta si trattava di ottime leggi ma, come si vedrà meglio nel prosieguo, restarono operazioni di pura facciata.
Il Parlamento per i siciliani non era una novità, lo avevano introdotto i normanni, lo aveva “modernizzato” Federico II che vi aveva chiamato a farne parte anche le rappresentanze cittadine, e nella sua composizione anticipava di 30 anni quello inglese, ma questo di Federico III era ancora più avanzato avendo, almeno sulla carta, un ruolo propositivo e partecipativo nella elaborazione delle leggi. Federico III introdusse infatti il metodo della legge “pazionata” dal latino pactionare, patteggiare, concordare.
Purtroppo, però, nonostante la bella costituzione, Federico si mostrò miope riguardo la libertà per le città demaniali ed anziché favorirne lo sviluppo, come avveniva in Aragona, in Catalogna e nei liberi comuni italiani, le soffocò non includendole nel patto costituzionale ed aumentò invece il potere baronale ripartendo il demanio statale fra i membri della famiglia reale e fra notabili Aragonesi, proprio quando nel resto d’Europa il potere feudale cominciava ad affievolirsi.
I baroni assunsero un ruolo sempre più invadente e determinante nel governo dell'isola che il re Federico non volle o non seppe contrastare, gettando le basi per quel loro strapotere che tanto ha pesato nella storia della Sicilia. Federico, in questa situazione, anzichè cercare di modernizzare la Sicilia attuando i principi costituzionali pomposamente declamati e fatti approvare all'atto del suo insediamento, pensò sempre a destreggiarsi tra i potentati baronali e scendere a compromessi pur di restare sul trono (vi riuscì per 40 anni). Ma il prezzo pagato fu una posizione di enorme privilegio del ceto baronale (cui andarono regolarmente, per tenerli buoni, tutti gli incarichi di rilievo) e l’emarginazione delle popolazioni cittadine, cioè della borghesia economica, sociale, politica e culturale, tenuti rigorosamente fuori dalle cariche decisionali. Cosa quest’ultima di cui ancora paghiamo il conto.
L'inerzia e l'incapacità di Federico nei confronti dei nobili finì con il violare la sua stessa costituzione concedendo a talune potentissime famiglie le cariche cittadine e favorendo la formazione di fazioni baronali che non avevano alcun interesse al progresso e alla modernizzazione della Sicilia.
Sul piano dei diritti civili si contraddistinse per la feroce politica antiebraica e nel 1324 il parlamento, riunito ad Enna, codificò tale comportamento emanando fosche norme che prevedevano la segregazione degli Ebrei, degne progenitrici delle feroci leggi razziali che saranno emanate molti secoli dopo dai nazifascisti. L'emarginazione degli ebrei, inoltre, determinò nei secoli a venire al loro definitivo allontanamento dalla Sicilia, con grave pregiudizio per lo sviluppo e il progresso dell'isola.
In politica estera non andò meglio. Federico agì in netta contraddizione con quanto scritto nella costituzione: egli non si dedicò alla difesa ed al potenziamento economico della Sicilia e pur abitando e regnando esclusivamente nell’isola per 40 anni non cessò mai di aspirare alla corona del vecchio Regno in qualità di erede dei diritti imperiali Svevi e considerando illegittima la donazione della Chiesa agli Angiò.
Invece di consolidare il suo regno devastato da anni di guerre si dedicò alle conquiste militari in Oriente che, secondo lui avrebbero dovuto facilitargli la conquista di Napoli, con l’ambizione di cingere la corona di Gerusalemme, che allora era in testa all’Angiò, ed anche la corona di Bisanzio. Le ambizioni di Federico furono rovinose per lo Stato siciliano che venne così ad inimicarsi il Papato e la Francia e ad essere coinvolto, senza averne i mezzi, in una politica continentale che aveva per protagonisti l’Impero, le grandi potenze, le repubbliche marinare, i guelfi ed i ghibellini.
La Sicilia però non ne ebbe alcun beneficio: le lotte baronali la distruggevano, il re non riusciva a dominarli, anzi li assecondava fino al punto da venire esautorato dagli stessi baroni e spesso doveva chiedere aiuto ed ospitalità a quelle poche famiglie rimastegli fedeli. Spesso non era libero nemmeno di muoversi nel suo regno perchè i baroni gli negavano l'accesso ai loro territori. L’anarchia era totale ed incontrollabile! Fu in questo clima che Federico III morì nel 1337 ed i suoi successori non riuscirono ad intaccare minimamente il caos che si era creato fino a quando nel 1401 l'indipendenza fini e alla luce degli avvenimenti precedentemente esposti si può affermare che l’arroganza, la sete di potere, di denaro e la miopia del baronaggio isolano e dello stesso Federico III buttarono al vento la possibilità di consolidare e far prosperare quello stato costituzionale, “moderno” e libero che era nato dalla rivoluzione del Vespro.
Forse i tempi non erano maturi per una costituzione che, almeno sulla carta, anteponeva gli interessi dello Stato a quelli personali, o forse si può dire che sia stata una delle prime operazione gattopardescche tanto di moda in Sicilia nei secoli successivi, ovvero cambiare apparentemente tutto (mediante la costituzione, il parlamento, ecc.) affinchè nulla cambiasse.

Blasco I Alagona o d'Alagona, anche noto come Blasco il Vecchio, fu, invece, un signore molto influente della Sicilia dell'epoca. Arrivò insieme alla famiglia in Sicilia dalla Aragona al seguito di Pietro III nel 1282 e fu il primo rampollo di una dinastia spagnola insediatasi in Sicilia, quella degli Alagona, appunto, che proseguì in forte ascesa con Blasco II. Gli Alagona erano molto legati alla casa d'Aragona e da questa loro fedeltà riusciranno ad ottenere diversi privilegi. Blasco fu Capitano Generale di Sicilia sia con Pietro III che con Federico III. Ed in questa veste il 4 luglio del 1299 affrontò durante il Vespro siciliano l'ammiraglio Ruggero di Lauria passato con gli Angioini, perdendo il confronto nella battaglia di Capo d'Orlando.
Per questa sua fedeltà venne lautamente compensato da Federico che gli assegnò la contea di Mistretta: divenne così l'incontrastato signore dei Nebrodi, il cui punto forte era la città di Nasa divenuta successivamente Naso.
Anche in seguito gli Alagona, per la loro fedeltà alla casa d'Aragona e alle casate che si succedettero, riusciranno ad ottenere diversi privilegi: si tramanderanno ereditariamente per diverse generazioni la carica di Capitano del Regno e di Maestro Giustiziere e diventeranno proprietari di vastissimi possedimenti, specie a Catania. Questa loro potenza farà degli Alagona una delle famiglie più influenti a Catania e nella Sicilia Orientale e tanta parte hanno avuto nel consolidare quel potere baronale che ha impedito alla Sicilia di progredire per molti secoli.

Alla luce di tali cenni storici, si può affermare che questi personaggi possono simboleggiare il riscatto della Sicilianità? Si possono considerare degli eroi che si sono scarificati per la liberazione della Sicilia dall'oppressione?
La risposta non può che essere negativa.
Federico III con la sua politica miope ha permesso il consolidamento del potere assoluto baronale che si è protratto per molti secoli, impedendo la nascita della borghesia che nel resto d'Europa è stata il motore del progresso civile ed economico. Mentre la politica contro gli ebrei e le leggi razziste emanate durante il suo regno hanno gettato le basi per il loro definitivo allontanamento dalla Sicilia con grave danno, anche in questo caso, per lo sviluppo economico in quanto nei secoli a venire i circuiti legati alle famiglie ebraiche diedero grande impulso allo sviluppo e al progresso dell'Europa. In sostanza, si può considerare uno dei primi responsabili dell'arretratezza e del sottosviluppo della Sicilia che si è protratto per molti secoli e di cui ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.

Blasco d'Alagona, a sua volta, altro non era che un nobilotto al servizio del re che agiva soprattutto per il suo tornaconto e divenne uno dei baroni più influenti della Sicilia, tramandando ai suoi eredi ricchezze e potere e né lui, né i suoi discendenti si sono mai immolati per il riscatto dei siciliani, ma hanno sempre pensato al loro tornaconto.

Ebbene, sig. Sindaco, con tutto il rispetto, questi signori, che hanno contribuito a lasciare la Sicilia nell'arretratezza e nella miseria per secoli, non possono essere i simboli o gli eroi del riscatto Siciliano, a meno che non si vogliano evocare nostalgie o simpatie per i sistemi baronali che hanno incarnato e ai quali hanno permesso di prosperare. Ma siccome non oso neanche pensare che da parte Sua possa esservi tale finalità, mi auguro che possa rivisitare e riconsiderare la Sua decisione proprio perchè, come da lei giustamente detto, i fatti devono essere raccontati per quelli che sono e questi sono i fatti che hanno visto protagonisti Federico III e Blasco d'Alagona: nè vittime, né eroi, ma dei nobili spagnoli intenti a consolidare perpetuare il loro potere e le loro ricchezze lasciando il popolo nella miseria e la Sicilia nell'arretratezza.

Nessun confronto può reggere con Giuseppe Garibaldi che al loro cospetto è un super eroe. Tutto si può dire, tranne che non credeva veramente in ciò per cui ha combattuto. Non ha mai voluto accumulare né ricchezze né posizioni di potere personale, sebbene le occasioni non gli siano mancate. Questo di per se è un titolo di merito che non può essere oscurato dagli episodi spiacevoli dei quali può essere stato protagonista.
Vero è che l'eccessiva retorica ha finito con il mitizzarlo oltremisura, ma è anche vero che era portatore de valori dell'Italia risorgimentale e di un indiscusso spirito libertario (sicuramente migliori di quelli che in concreto perseguirono Federico III e Blasco d'Alagona). Riguardo alla spedizione in Sicilia, di cui Lei sig. Sindaco lamenta le atrocità, non va dimenticato che era alla testa di un corpo di spedizione e quindi in stato di guerra per cui in tali frangenti era inevitabile che si verificassero degli episodi sanguinosi ed atti di violenza in danno della popolazione civile (secondo il gergo militare moderno si tratta di effetti collaterali delle operazioni di guerra). Ciononostante non si possono disconoscere i grandi meriti e ciò che ha fatto per l'Italia e per il mondo. Ha impersonato quello spirito risorgimentale e liberale che non può certamente essere oscurato da singoli episodi cruenti e sanguinosi.
Del resto, per fare un paragone, anche l'esercito di liberazione alleato durante l'ultimo conflitto mondiale si è reso protagonista, dopo lo sbarco in Sicilia, di alcuni episodi di inaudita violenza nei confronti della popolazione civile inerme, ma ciò non significa che si debba rinnegare il grande valore della liberazione dal nazifascismo effettuata dagli alleati.
Giusta, quindi, la condanna degli episodi di violenza e di sopraffazione che hanno caratterizzato la spedizione di Garibaldi in Sicilia, ma ciò non può portare a rinnegare in toto la sua storia e disconoscere i suoi meriti che rimangono comunque indelebili nella storia d'Italia e del mondo.
Sig. Sindaco, il suo atteggiamento, in definitiva, costituisce un grave e gratuito gesto di antiitalianità che non le fa onore. Che lo voglia o no, Garibaldi fa parte della nostra storia la quale, con tutte le ombre possibili, è comunque una grande storia che non può essere cancellata dalla Sue martellate. Prima di modificare la toponomastica, avrebbe dovuto quantomeno coinvolgere i cittadini ed aprire un serio confronto storico per consentire a tutti di avere cognizione esatta degli eventi ed indire un referendum per consentire ad ognuno di dire la sua.
Ed il pregiudizio gratuito del Suo agire si ravvisa nel fatto che nulla avrebbe impedito la coesistenza tra Garibaldi ed altri personaggi che a Suo giudizio potrebbero rappresentare la sicilianità, compresi Federico III e Blasco d'Alagona, con le luci e le ombre della loro storia. Se proprio voleva lanciare tale messaggio ben poteva mantenere l'intitolazione a Garibaldi ed intitolare un'altra piazza o un'altra via al 4 luglio che, per ironia della sorte, è il giorno in cui, nel 1807, nacque Garibaldi.
Concludo con la constatazione che una città importante come Capo d'Orlando ha sicuramente perso qualcosa restando priva di un luogo pubblico che ricordi la memoria di Giuseppe Garibaldi.
Siccome, sebbene non orlandino, amo molto questa città, invito tutti coloro i quali condividono le mie riflessioni a mobilitarsi affinché Capo d'Orlando riabbia una via o una piazza Garibaldi. Propongo, inoltre, che i proprietari di case che lo volessero intitolino le loro abitazioni a Giuseppe Garibaldi (condomino Garibaldi, per esempio, non suona male) e affiggano sulle facciate delle targhe commemorative in modo tale da far rivivere nelle strade di Capo d'Orlando la memoria di Garibaldi, ad onta delle martellate del Sindaco.
Io sono disponibile a dare il mio contributo in tutti i modi possibili affinchè il grave torto arrecato alla storia venga riparato, per cui sono pronto a collaborare con chiunque volesse intraprendere iniziative in tal senso.

Piraino, 10/07/2008
distintamente

Vincenzo Amato

Prima pagina - Stampa - Home

  SocialTwist Tell-a-Friend


Copyright © 2001 orlandino.it. Tutti i diritti riservati
Webmaster e designer